Ritratto di un’antieroina

03 05 2024

Ritratto di un’antieroina

di Sofia Artuso

Intorno al 1901, la giovane Mary MacLane decide di mandare il suo libro dal tono decisamente anticristiano, I Await the Devil’s Coming, a una casa editrice di Chicago che si occupa di testi evangelici. Forse lo fa per errore, o forse per provocazione. Fatto sta che l’editore ne rimane colpito e decide di inoltrare il libro a una casa editrice di Boston più in linea con il contenuto proposto, specializzata nella pubblicazione di autrici femministe. È dunque la Herbert S. Stone & Co. che nel 1902 pubblica l’opera cambiando il suo titolo originale con uno meno scandaloso per l’epoca: The Story of Mary MacLane. In un solo mese dall’uscita il libro vende più di 100.000 copie e in brevissimo tempo il nome di Mary MacLane fa il giro di tutto il Nord America. I giornali sono pieni di articoli che citano il suo nome, la squadra di Baseball di Butte[1], si fa ribattezzare in The Mary MacLanes, i giornalisti parlano del fenomeno culturale del “MacLaneismo”, il Washington Post definisce il libro come uno dei più sorprendenti pubblicati negli ultimi anni, Hemingway e Stein[2] si ispirano al suo innovativo stile di scrittura, viene persino inventato un cocktail col suo nome. Insomma, il nome di Mary MacLane è sulla bocca di tutti: tutti la vogliono intervistare e tutti la vogliono conoscere. Si arriva persino a dubitare della sua identità. Deve sicuramente essere un uomo, come potrebbe non esserlo? Qualcuno si spinge fino a Butte per verificare se è veramente chi dice di essere. Ed eccola lì in carne ed ossa, Mary MacLane esiste eccome. È una ragazza di ventun anni che ha partorito dalla sua mente geniale un’opera fuori dai canoni dominanti della letteratura americana di quegli anni. Il successo, quindi, è immediato. Mary MacLane guadagna abbastanza da potersi permettere di lasciare la piccola Butte e trasferirsi a Boston, dove non molto tempo dopo il suo libro verrà censurato. Da qui la figura di Mary MacLane scivolerà gradualmente nell’oblio.

Ma chi è questa donna che si permette di scrivere delle cose così dirompenti e inammissibili, in grado di stravolgere gli stereotipi sociali? Mary MacLane ha appena finito il liceo in cui ha svolto il ruolo di redattrice della rivista scolastica e, come qualsiasi altra donna di quel periodo, sente di non poter coltivare nessuna particolare aspirazione per il futuro. Tuttavia, è consapevole di avere un eccellente talento per la scrittura e non ha alcuna intenzione di sprecarlo. Vive isolata, preda della monotonia di una cittadina del Montana, incatenata alle rigide norme sociali dell’epoca e sente di dover fare qualcosa per cambiare la realtà in cui vive, o almeno provarci. Così all’età di diciannove inizia a scrivere di sé, un ritratto, come lei stessa ci suggerisce, all’interno del quale racconta tre mesi della sua vita. La forma è quella del diario, ma solo per ciò che concerne gli aspetti strutturali della scrittura, ripartita secondo la canonica suddivisione cronologica delle giornate. Eppure, Mary MacLane non elabora l’opera giorno per giorno ma la scrive tutta d’un fiato come se, più che un diario, avesse in mente di seguire lo sviluppo di un romanzo. L’opera però è priva di una vera e propria narrazione organica; dunque, risulta difficilmente collocabile all’interno di un preciso genere letterario. Non è un diario, non è un romanzo, non è un trattato filosofico, non è un poema o un manifesto femminista. Si pone così al crocevia di queste differenti forme, in un punto di tangenza che garantisce all’opera una posizione di assoluta originalità, ben lontana dagli schemi letterari consolidati. All’epoca, infatti, il diario veniva considerato come il “luogo sicuro” della scrittura, uno spazio intimo e privato in cui esprimere la propria identità. Proprio per questo motivo, le donne, costrette dalla società a sostenere un ruolo spesso non rispondente alla loro reale personalità o alla loro segreta vocazione, iniziano a ricorrere in modo sempre più frequente a questa particolare forma letteraria, che diventa un incubatore di pensieri, sfoghi e riflessioni. Tuttavia, Mary MacLane, a differenza di molte altre donne che tendevano a concentrarsi sui pettegolezzi, sulla vita sentimentale o sulle questioni familiari, non scrive per il gusto di raccontarsi privatamente a sé stessa, ma scrive con la volontà e il desiderio di poter essere letta e apprezzata da un pubblico il più vasto possibile: vuole che le sue parole abbiano un impatto sul mondo, che il suo nome venga ricordato e che i lettori, soprattutto le donne, possano immedesimarsi nelle sue riflessioni. Mary MacLane sa che la forma del diario è il mezzo più sincero a sua disposizione per comunicare, quello che esalta al meglio il suo stile diretto e innovativo: in tal modo, si serve dell’ironia quanto dell’introspezione, riuscendo a intrecciare e a trasmettere tutte le sfaccettature della sua personalità. Mary MacLane non esita a presentarsi al suo pubblico senza filtri o paure, esponendo sia i propri difetti, come l’egoismo e la tendenza a mentire, sia i suoi pregi, tra cui il suo tratto di genialità.

Chissà se ci sarà qualcuno in grado di comprendermi, si chiede Mary MacLane. Ed è questo che desidera in fin dei conti: sentirsi meno sola, avere qualcuno con cui condividere la tristezza del suo animo. C’è molto di più, ovviamente. Mary MacLane offre un’aspra critica all’oppressione delle donne nella società americana dell’epoca, bigotta e repressiva. È consapevole che se fosse nata uomo avrebbe già dato una grande impressione di sé al resto del mondo; invece, è una donna e in quanto tale sa di doversi confrontare con una società in cui il suo ruolo e il suo pensiero non hanno lo stesso peso di quelli di un uomo. Sa che la donna deve stare in casa a occuparsi delle faccende domestiche e che la sua unica aspirazione dovrebbe essere quella di prender marito e mettere su famiglia. Ciononostante, non ha intenzione di adeguarsi a ciò che le viene imposto, non intende farsi tarpare le ali. È una ribelle, una che sa esattamente cosa vuole e non ha paura di mettersi il mondo contro. Ha bisogno di dire quello che pensa e ha bisogno di farlo a voce molto alta, a nome di tutte le donne. Nonostante la grande sensibilità coltivata nei confronti della questione di genere, Mary MacLane non è una femminista, per lo meno non nell’accezione comune del termine che oggi utilizziamo. Pur essendo fermamente convinta che le donne dovessero sentirsi libere di esprimere se stesse pienamente, senza limiti o restrizioni, tanto da diventare un modello da seguire, non partecipò mai attivamente al movimento femminista. Lei è diversa dalle altre ragazze, si definisce un’antieroina, si sente più simile alle amazzoni che alle ragazze di cui si legge nei libri femministi dell’epoca. Non le interessa essere una “brava ragazza” che sa cucire o che prepara da mangiare per la sua famiglia. A Mary MacLane il cibo piace prepararlo per sé stessa. Per lei, gustare il cibo è un piacere profondamente sensuale: è la celebrazione della sessualità e del fisico femminile che elogia. Mangiare è un’esaltazione dei sensi, totalmente agli antipodi di un rapporto controllato o nevrotico con l’alimentazione. È una trasgressiva, una che si identifica sia nel genere maschile che in quello femminile e si sente attratta sessualmente da entrambi i sessi. Qualunque sia il suo amore, Mary MacLane non ha intenzione di sposarsi. Anzi, critica apertamente e senza remore la concezione tradizionale del matrimonio cristiano. Spiega ai suoi lettori che il matrimonio è una farsa usata dagli uomini e dalle donne per nascondere i propri vizi, che la natura umana non ha niente a che vedere con la purezza e la devozione che accompagnano il concetto del matrimonio. Evidenzia l’incongruenza che c’è tra il matrimonio e le pulsioni che muovono l’uomo e la donna. Esattamente, la donna. Perché secondo MacLane anche la donna è capace di provare pulsioni e desideri proprio come l’uomo. Dunque, perché mai dovrebbe rimanere chiusa dentro casa, costretta a vivere con un uomo a cui le è stato imposto essere devota? Perché non sfidare le norme tradizionali? Mary MacLane rivendica una visione dell’impulso erotico e dell’atto sessuale femminili non meramente finalizzati alla procreazione, ma intesi anche in termini di pura necessità fisica, esattamente come accade per il genere maschile.

Così attraverso le sue riflessioni facciamo la conoscenza di una creatura alquanto particolare, che si avventura in lunghe passeggiate di contemplazione tra il paesaggio desertico del Montana. Ci ricorda continuamente da dove scrive perché, anche se matura un sentimento di amore e odio per il paesaggio che la circonda, sa che quest’ultimo è fatto della stessa materia di cui è fatta la sua personalità. È colpa del suo “Nulla” che la opprime se non riesce a esprime a pieno il genio che la possiede. Eppure, è proprio questo stesso “Nulla” ad averla resa la Mary MacLane che è diventata. La sabbia e l’aridità diventano le sue compagne di viaggio, non l’abbandonano mai per tutta la narrazione. Tutto è avvolto nella desolazione più totale. Allora la soluzione diventa rifugiarsi nell’immaginazione, pensare a un futuro felice in cui si vede libera, dove il cielo è azzurro, l’aria è profumata e c’è sempre la sua amata linea rossa del cielo al tramonto. E noi viaggiamo con lei, ci facciamo portare in Grecia o in paesi lontani di cui non conosciamo il nome. Mentre la mente si spinge lontano Mary MacLane riprende fiato, si ripete a sé stessa che il Diavolo sta per arrivare con la sua tanto agognata felicità. Ma l’immaginazione, come la felicità, è transitoria: quando il sogno finisce alla fine si ritorna sempre alla realtà. Così le rimane soltanto la possibilità di rifugiarsi tra le braccia dell’amore. Se il messaggio di Mary MacLane sembra essere quello di dare più importanza ai piaceri sessuali invece di rispettare le convenzioni sociali, quale potrebbe essere per lei il miglior amante se non il Diavolo? Il suo bel corpo femminile desidera con ogni fibra che il Diavolo si innamori di lei. Lo invoca di continuo, gli dice che desidera gettarsi ai suoi piedi e che per lui sarebbe disposta a smuovere mari e monti.

Il desiderio di Mary MacLane per il Diavolo riflette la sua aspirazione a liberarsi dal circolo vizioso di riflessioni e autoanalisi che la tiene prigioniera in una realtà opprimente e limitante. Se fosse strappata dalle profondità del proprio pensiero da una forza esterna e potente, allora forse potrebbe scoprire una realtà nascosta che le consente di essere a pieno sé stessa. Non a caso sceglie di intitolare la sua opera I Await the Devil’s Coming, perché, insieme a lei, è il Diavolo il protagonista. Vede il Diavolo non come un nemico ma come il suo unico salvatore. Il Diavolo incarna i concetti di forza e potere, ma non è una figura da temere; è invece gentile e amabile, è colui che ha creato il mondo e che le ha donato il suo bel corpo femminile. Il Diavolo simboleggia tutto ciò che è considerato “Altro”, ciò che si distanzia dalle norme del patriarcato etero normativo, è un simbolo di evasione dalle convenzioni sociali, specialmente da quelle imposte sulle donne. Un giorno il Diavolo arriverà e le porterà la felicità, la salverà dalla società bigotta in cui vive, le farà sperimentare la libertà, i piaceri sessuali, la ribellione. Ma non è solo del Diavolo che Mary MacLane è innamorata. C’è anche la sua insegnante del liceo Fanny Corbin, la donna anemone. Una persona dolce e tenera che crede in Dio e di fronte alla quale MacLane sente di non poter essere all’altezza. Ma sente di amarla dal profondo del suo cuore, sente di condividere con lei qualcosa di estremamente bello che la eleva dalla condizione di tristezza che l’avvolge. Ammette di percepire in sé l’emergere di un elemento distintamente “maschile” ogni volta che pensa alla sua insegnante, un sentimento che oscura in parte gli aspetti più femminili della sua personalità. Questa esperienza di attrazione la fa immergere in una concezione più fluida dell’identità di genere e del desiderio sessuale. Mary MacLane alterna le due parti che le appartengono, quella maschile, rappresentata da Diavolo e quella femminile, rappresentata dalla donna anemone, sentendosi attratta sia dall’uno che dall’altro sesso.

A cavallo tra il diciannovesimo e il ventesimo secolo, Mary MacLane scrive in un periodo di svolta per l’autobiografia femminile, in cui il dibattito sui ruoli e sull’identità di genere iniziava a farsi più esplicito. Nonostante le donne cominciassero a far sentire sempre di più la propria voce, tendevano comunque a mantenere un tono contenuto non in completo antagonismo con le norme sociali. Al contrario, Mary MacLane riesce a trascendere queste limitazioni sia per la sfrontatezza e facilità nel rompere schemi e convenzioni consolidate, sia per il suo stile inconfondibile. Il suo lavoro rappresenta la tensione tra la tradizionale riservatezza autobiografica femminile e un approccio decisamente più moderno e anticonformista che segna un passaggio emblematico verso nuovi orizzonti espressivi.

Il suo genio risiede nella sua grande abilità di esprimere attraverso la scrittura i sentimenti condivisi dalle donne di quel periodo. Ma fu quello stesso genio a essere la causa della sua condanna. Il suo libro venne censurato e con gli anni non fu più mandato in ristampa. Numerosi critici considerarono inaccettabili le sue idee provocatorie, etichettandole come particolarmente scandalose per una donna. La ritenevano un’“isterica” che aveva bisogno di farsi curare più che dare spazio alla sua vena artistica. In sostanza, avevano paura e non accettavano un’inversione dei ruoli così esplicita. Dopo il suo primo esordio MacLane scrisse altri due libri, My friend Annabel Lee (1903) e I, Mary MacLane: A Diary of Human Days (1917), che però non ebbero il successo sperato. Da lì la sua figura cadde velocemente nell’oblio. Venne trovata morta all’età di quarantotto anni in una stanza d’albergo con in mano una copia del suo primo libro, molto probabilmente si trattò di suicidio.

Fu solo nel 2013 che la casa editrice Melville House decise di dare nuova vita a I Await the Devil’s Coming, che per più di cinquant’anni era rimasto nell’ombra. Da quel momento il libro ha iniziato a riacquisire l’importanza che aveva perso, grazie anche alle traduzioni in lingua spagnola, francese e tedesca. L’obiettivo è lo stesso: esaudire il desiderio di Mary MacLane e far riecheggiare le sue parole persino nei cuori più freddi e indifferenti. Perché ancora oggi la sua voce ci risuona sorprendentemente familiare.

[1] Cittadina del Montana dove Mary MacLane si è trasferita dal Minnesota all’età di quattro anni.

[2] MacLane, Mary, I Await the Devil’s Coming – Annotated & Unexpurgated, Petrarca Press, 2014.